Ho i denti storti. Dato di fatto. Verità assoluta dalla quale non tento di scappare, ammetto che è così, solo che a me non da fastidio. Non è che abbia dei denti terribilmente storti, semplicemente non sono perfettamente allineati come vuole lo standard di bellezza dei giorni nostri. E a me che me ne importa?
Purtroppo, ho dovuto combattere a lungo contro l’ortodonzia. Ah, l’incubo dell’ortodonzia! All’età di otto anni il mio dentista aveva già decretato che io sarei stato uno dei suoi clienti, di quelli che gli lasciavano un sacco di soldi, e che si tenevano quell’apparecchiaccio in bocca per cinque, sei anni (chiaramente durante tutta l’adolescenza, rovinata dal famigerato marchingegno anti-fidanzata) e che dovevano andare ogni singola settimana a farsi aggiustare di mezzo millimetro l’apparecchio. Se penso a quanti amici sono caduti nella rete, a quanti danni psicologici l’ortodonzia ha fatto loro, e a quanti soldi hanno speso i loro genitori per poi scoprire che, negli anni, i denti hanno la tendenza a tornare alla loro posizione naturale (proprio lì dove la natura li aveva voluti). Quindi l’ortodonzia da sola non è sufficiente a mantenere i denti nella posizione perfettamente innaturale voluta dall’uomo. Ma questa è una scoperta posteriore al periodo in cui io ero adolescente, ad oggi si preoccupano di assicurare i denti cosicché non si muovano, quella volta no.
Ad ogni modo, già ad otto anni avevo ben chiaro in testa che io, quel coso, non l’avrei messo in bocca. Di tutt’altro parere era mia madre che ci teneva alla mia bellezza. Per lei, cinque o sei anni sarebbero passati subito, in confronto ad un’intera vita di sorrisi smaglianti. Anche se non se ne sarebbe parlato fino ai miei undici, dodici anni, quindi, la battaglia era già iniziata. Litigavamo regolarmente, perché io non mancavo di tirare fuori l’argomento, accompagnato da obiezioni ogni volta diverse e da arringhe che avrebbero fatto invidia al miglior avvocato del mondo. Mia madre, invece, non si sforzava minimamente, unico suo punto forza il fatto che lei era mia madre e lei avrebbe deciso per me finchè avessi vissuto sotto il suo tetto. L’aveva ripetuto così tante volte che finii col prenderla alla lettera.
Arrivò il famigerato momento dell’ortodonzia, a dodici anni. Il giorno prima dell’appuntamento dal dentista feci la valigia (riempii lo zaino, in verità), le scrissi che me ne andavo per evitare l’apparecchio, e uscii di casa diretto da mio padre. Lui mi accolse ridendo, e fu felice che avessi pensato a lui, ma non aveva intenzione di combattere mia madre anche su questo. Il giorno dopo mi riportò a casa, se non altro dopo l’orario dell’appuntamento che persi con soddisfazione. Mia madre era furiosa, io ero ostinato. Le liti continuavano ed ogni volta che fissava l’appuntamento io facevo in modo di sparire. Scoprivo sempre quando ci sarebbe stato l’appuntamento successivo e lei si infuriava sempre più. Alla fine, diventai estremo perché non ne potevo più. In fondo era la mia bocca e ero io che avrei dovuto decidere il da farsi, non lei. Mi arrampicai sull’albero e le dissi che mi sarei buttato giù se non l’avesse finita per sempre con questa storia, che io, da grande, avrei deciso se sottopormi ad ortodonzia oppure no.
Vinsi la mia battaglia. Ed oggi sono molto contento dei miei denti imperfetti.
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